Il Mattino / Gallerano: “Con la nudità un urlo contro il maschilismo”
di Angela Matassa, Il Mattino, 2014
«È una partitura musicale un flusso di coscienza», dice Silvia Gallerano, interprete del monologo «La Merda» da domani a domenica in scena al Teatro Galleria Toledo, che l’ospitò nel 2011 per la rassegna “Stazioni d’Emergenza”. Uno spettacolo shoccante, che ha ricevuto molti premi.
Innanzitutto il Fringe Festival di Edimburgo, dopo il quale sono giunti gli altri, della critica e del pubblico.
«Nasce dalla collaborazione con l’autore Cristian Ceresoli che l’ha scritto su di me – spiega l’attrice – sulla mia voce e sulla mia fisicità. Ha lavorato come un compositore fa con lo strumento».
Il testo parla di compromessi, mezzucci, del maschilismo becero che domina una società insicura e bloccata. Ma c’è soprattutto lo smarrimento del personaggio ed il suo urlo.
«Non è una denuncia, siamo noi stessi che ci autodenunciamo – chiarisce la Gallerano – Ci guardiamo dall’interno. Siamo cresciuti con la tv, immersi in un mondo di plastica, presi dal bisogno di apparire a tutti i costi».
Un flusso di coscienza e di parole, accentuato dalla nudità integrale.
È difficile recitare soli, senza appigli, senza neanche il costume? «Per la verità no – chiarisce – Anzi, provo un gran senso di libertà perché spogliarsi di tutto è il massimo che si può dare. Quel che cerco è di trasferire le mie emozioni. A livello interpretativo, invece, è quasi un elemento in più perché mette l’attore in relazione con il pudore del pubblico, oltre che con il proprio. Si crea così un corto circuito che riporta tutti, insieme, in quel preciso luogo. Elimina la distanza perché si ha di fronte un corpo reale, non perfetto, vulnerabile, come quello di chiunque, vero».
Città diverse, pubblico differente, reazioni? «Disparate anch’esse. A Londra sono compiti, a Roma si ride, in Danimarca ridono ancora di più, e la risata spesso aiuta a rompere la crudezza messa in scena». I temi sono duri, «La Merda» è una tragedia in tre tempi e un controtempo, ma c’è un bagliore di speranza? «Il testo non lo prevede, il personaggio non ne ha, ma è così orrorifico, ferale, animalesco, che provoca empatia, da qui potrà venire una reazione. La speranza non c’è, ma credo che l’orrore, la rabbia, il disgusto spingano a reagire».
Un successo mondiale con un trend di crescita dal 2012 ad oggi.
Già tradotto in inglese, danese e ceco, il testo è in corso di traduzione in francese e portoghese brasiliano. Eppure, all’inizio è stato difficile farlo produrre. «Ma noi non ci siamo arresi e, una volta arrivato a Edimburgo, il fenomeno è scoppiato. Siamo la generazione dei quarantenni, quella che i padri del potere hanno tenuto fuori. Non si può sempre aspettare: siamo passati all’azione».