Happy Hour: Fascismi Colorati in un Distopico Mondo “Total Talent”
Una sorella, un fratello ed una efficacissima forma di allegro totalitarismo.
di Daniele Furcas – 5 Aprile 2018
Di seguito il resoconto di una chiaccherata molto interessante che abbiamo potuto fare al Centro Culturale il Funaro di Pistoia con Cristian Ceresoli, pochi giorni prima della presentazione del primo studio di Happy Hour proprio al Funaro, dove lo stavano preparando. Il duo pluripremiato ed acclamato in tutto il mondo formato da Cristian e da Silvia Gallerano lavora a quello che sarà il loro prossimo spettacolo e che debutterà al Fabbrichino di Prato in Ottobre. Insieme a lei Stefano Cenci ed alla regia Simon Boberg.
Cristian Ceresoli Happy Hour è in qualche modo collegato alla vostra precedente produzione?
Sì. Il testo l’ho iniziato nel 2007 e fa come parte di una grande tela annerita, abbandonata, che ho risvelata ed al cui interno convive anche La Merda. E’ il recupero di un diverso squarcio dello stesso paesaggio elaborato in un’altra forma. Se il primo era un flusso di coscienza qui siamo di fronte ad una partitura per un concerto a due voci, una partitura barocca dove la musicalità ed il riverbero dei corpi è fondamentale. A parlare sono due bambini, sui tredici anni, per dare un’indicazione. Si chiamano Ado e Kerfaf. Vivono in una metropoli come potrebbe essere Milano, Londra o qualche città del genere.
Ne La Merda, la tecnologia (usata male) non appare mai come fattore diretto di violenza ma sembra di percepire quanto si sia impossessata del corpo della persona, quasi violentandola, entrando nei suoi meccanismi biologici. Come nei migliori episodi di Black Mirror. Credi sia possibile una lettura di questo tipo?
In verità noi usiamo molto i mezzi tecnologici soprattutto per la resa della voce e nelle rappresentazioni in interna è evidente… la protagonista ha un microfono in mano… ma in qualche modo sì, è un corpo violentato ed il fatto che sia completamente nuda è stato un modo per affrontare il pubblico in maniera da sviare preconcetti. Un corpo e basta. Ed un flusso della mente. Davanti a loro nella forma più elementare possibile. Anche in Happy Hour l’esterno, tecnologico o psicologico, entra nei corpi con promesse, sorrisi e tutti i mezzi di cui dispone. E’ un totalitarismo smart. Black Mirror mi ha molto affascinato. Di più la prima serie, dove le ambientazioni familiari ed il grado massimo di intrusione creano una miscela inquietante quanto ispirante.
Pasolini parlando della mutazione antropologica del proletariato sostiene che il Fascismo di Mussolini non abbia scalfito il profondo delle persone mentre il nuovo potere “per le masse”, lo abbia radicalmente cambiato. Parla di genocidio culturale. Sei d’accordo? Parla anche di questo Happy Hour?
Sì. Ancora ci sono dei segni non definitivi nella versione che abbiamo montato fino ad adesso, ma si parla anche di questo. Una metropoli, una famiglia in difficoltà, l’apparire di un totalitarismo terribile ed allegro. I genitori si aspettano il cambiamento, il miglioramento a partire dai propri figli, riversano il desiderio della scalata sociale su di loro. I bambini che conoscono solo quella di realtà attivamente vogliono partecipare alla grande gara, qualsiasi orrore per un vantaggio materiale. Non e’ un mondo umano, è un “Total talent!”. La lingua si fa smart, la lingua straniera entra nel parlato e si fa funzionale al nuovo divertente e spietato regime.
I personaggi sono completamente perduti o hanno degli sprazzi di consapevolezza?
Sono inconsapevoli, sono bambini, sono posseduti da quello che gli attraversa. All’interno della stessa frase della stessa battuta aleggia sempre una sorta di divinità, il Dio di Happy Hour è una specie di Stefano Gabbana. Non parlerei però di personaggi. Non è una drammaturgia quella che ho presentato a Stefano ed a Silvia, non c’erano indicazioni su cosa fare o su chi avesse dovuto dire cosa… è complesso…qua con questo primo studio siamo pronti a sentire finalmente la risonanza dei non addetti ai lavori, ne abbiamo bisogno, alle volte il vero ostacolo sono proprio gli addetti ai lavori. Non è una prospettiva da cui guardare le cose, almeno non è la sola, non basta.
Perchè hai scelto di lavorare in quest’opera con la Gallerano e Cenci?
Silvia è un’artista totale, una musa ispiratrice. Coraggiosa, non si ripete, rischia anche il ridicolo per sperimentare e poi trova quello che ci vuole, che serve. Stefano ed io ci conosciamo da tempo ad esempio abbiamo lavorato per l’arena di Verona ad “Otello Sex Machine” mai finito, dove io mi occupavo del libretto, non mi hanno neanche finito di pagare… scrivilo. E’ un artista che ancora secondo me non ha avuto il pieno riconoscimento e volevamo da tempo portare a termine qualcosa insieme. Lui è uno dei primi che ha creduto ne La Merda e lo ha presentato nei suoi spazi. Loro due potevano affrontare una partitura come questa. Nello staff c’è anche Simon Boberg, responsabile della versione danese de La Merda, che ha le nostre stesse idee. Cosa pensi del Funaro? Una di quelle cose che avremmo voluto avere nel 2010, un posto dove possiamo sentirci a nostro agio e lavorare.
Una domanda anche a Stefano Cenci: puoi parlarci di Happy Hour, dei vostri ruoli?
Qui non parliamo di personaggi, il pubblico vede attori che si fanno portavoce di una parte diegetica e dalle loro voci escono le voci di tutti gli altri. Dio, i genitori passano attraverso un gioco di bimbi immersi in questa schizofrenia che gli vive dentro e le loro proiezioni rendono tutti più grandi, per il pubblico. I due bambini sono carichi di vita, sono in potenza una showgirl ed un bomber, ci credono almeno, senza potercela fare ci provano, vogliono partecipare alla festa del nulla dove anche se vinci hai già perso. Anche il regista qui è come un conduttore di sguardi, . E’ un’opera non autoreferenziale, efficace, pop ma senza abbassare il livello artistico.
Silvia Gallerano, sento termini musicali ripetersi molte volte nelle vostre parole, come avete lavorato a questa partitura priva di indicazioni?
Come diceva Stefano è un gioco tra bambini, abbiamo un metodo di lavoro orizzontale, rispetto a La Merda è tutto più articolato. I due fanno musica coi loro corpi e con le parole, siamo partiti da delle letture, lo scritto non suggerisce un’azione, non ti devi preoccupare di fare qualcosa, non è intellettuale. Il suono che arriva dai corpi è una componente della partitura. Ci sono due strumenti in scena che siamo noi e dobbiamo scoprire come vanno suonati. Potrei essere una chitarra ad esempio, ma non è detto che il modo migliore per far uscire quello che deve uscire sia di suonare le corde…